Fabio Aguzzi (1953-2016)

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                                              Fabio Aguzzi (autoritratto), 2005

Un artista muore più volte. Perchè l’artista è un gatto  conscio delle proprie nove vite. Sa che ad ogni salto nel vuoto ne rischia, comunque, una. L’arte, infatti, è un arcipelago di cose da creare, ma tra un’isola e l’altra c’è un vuoto. Quello creato dal mercato dell’arte, dai galleristi, dalle istituzioni museali, dai curatori di mostre. Quando un artista crea su un’isola e vuole fare un balzo verso quella successiva, dove scorge altre idee belle da dipingere o assemblare, spera che qualcuno dal vuoto lo sorregga. Forse Fabio Aguzzi, splendido pittore figurativo, ha deciso che non serviva più un altro balzo. Nessuno dal vuoto lo avrebbe aiutato. Fabio Aguzzi, la notte di San Silvestro, è tornato così nella sua casa di Vidigulfo (un paese immerso nella nebbia pavese). Si è seduto al tavolo, ha acceso il suo sigaro, ha bevuto l’ultimo sorso di whisky e si è sparato. Aveva 63 anni . Aveva insegnato a Brera, aveva dipinto Venezie, donne desiderose, oggetti della memoria. Aveva reso onirico il suo sguardo. Se ne è andato nella notte degli auguri. Io adesso gliene faccio uno: auguri Fabio, che la nuova isola dove sei arrivato sia la più bella di tutte.

dt_5_sFabio Aguzzi dipinge come respira. Tele e pennelli, sigari e whisky condividono i suoi giorni e le sue notti solitarie, compagni silenziosi di un’ ode cromatica che egli compone all’infinito per il suo unico amore, la sua musa eterna: la luce. Da sempre, continua ad essere il suo appassionato amante, tanto fedele e paziente quanto lei si mostra mutevole e capricciosa. Dolce e impolverata, come in autunno nella pianura lombarda, dove egli è nato nel 1953, umida e soffusa come durante l’inverno a Venezia, la città adorata che si confonde con il suo riflesso, cruda e truccata quando denuda corpi femminili, carezzevole quando avvolge di poesia gli oggetti del quotidiano e attrezzi ferrosi o dalle impercettibili sfumature come nelle lontane isole da poco esplorate. Più che ogni cosa, è la luce che l’ispira, è il suo ossigeno…”

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